"Ciò che è essenziale è
invisibile all'occhio"; questa bellissima frase tratta da Il piccolo Principe di Antoine
De Saint-Exupery, porta a delle riflessioni che possono riguardare
anche il campo dei Beni Culturali: se davvero ciò che non possiamo vedere
nell'opera fosse di estrema importanza? Fortunatamente le tecniche analitiche
permettono di indagare le opere, rivelando spesso le "verità
nascoste". Tuttavia, la maggior parte delle analisi sono ad appannaggio di
tecnici specializzati e richiedono attrezzature costose che danno come
risultati degli spettri, spesso molto difficili da interpretare. Ciò
nonostante, alcune tecniche permettono anche ai meno esperti di ottenere
informazioni importanti ai fini del restauro come, ad esempio, la microscopia
ottica, la fluorescenza UV e la riflettografia IR.
In questo articolo parleremo proprio di quest'ultima che sfrutta
la capacità delle radiazioni infrarosse di
attraversare gli strati più superficiali di un’opera policroma, dalla
vernice finale allo strato pittorico, fino ad arrivare al disegno preparatorio.
Ritocchi, stuccature, abrasioni e cadute di film pittorico e preparazione
risultano più evidenti e, cosa ben più importante, si possono ricavare
indicazioni sulle tecniche di esecuzione attraverso i tratti del disegno
prepraratorio, che può rivelarsi sotto la superficie.
Prima di addentrarsi nel pieno del discorso sulla riflettografia,
facciamo una parentesi che permetta di rendere più comprensibile la tecnica stessa.
L
’intero lavoro degli uomini che nel corso dei secoli si sono
dedicati all’arte figurativa, dagli artisti rupestri della preistoria fino alle
avanguardie contemporanee, passando per chi ogni giorno si occupa di conservare
e ridare vita a queste testimonianze, si basa sulla luce.
La luce non è altro che una piccola porzione dello spettro
elettromagnetico che il sistema visivo umano riesce ad elaborare. Lo spettro
elettromagnetico viene diviso in base alla lunghezza d'onda delle radiazioni
che lo compongono, che vanno da parecchi metri ("onde lunghe", come
ad esempio le onde radio) fino a qualche miliardesimo di millimetro (ad esempio
raggi X). Il campo del visibile si colloca con "onde corte" che vanno
dai 400 nm ai 700 nm (milionesimi di millimetro).
L’effetto complessivo di una radiazione elettromagnetica che
incide su un qualsiasi oggetto dipende da tre fattori:
1)
il tipo di radiazione incidente (lampadina, luce solare, neon,
etc.);
2)
la composizione e la struttura dell’oggetto su cui la radiazione
incide;
3)
il dispositivo che rileva la radiazione riflessa dall’oggetto
(occhio umano, telecamera ad infrarossi, etc. ).
Questa riflessione è utile in molti campi del restauro
conservativo, come ad esempio per le operazioni di ritocco in cui bisognerebbe
sempre utilizzare una sorgente luminosa il più possibile simile al sole.
Nel caso delle indagini riflettografiche all’infrarosso la
condizione di base per la riuscita dell’operazione diagnostica è che la
sorgente luminosa contenga, nel suo spettro di emissione, una buona “dose” di
radiazione infrarossa, che possa interagire con gli strati pittorici ed essere
rilevata da un “occhio” appositamente calibrato (ossia una telecamera sensibile
a lunghezze d’onda comprese tra 700 e 1100 nm, l’Infrarosso vicino). Una lampada
ad incandescenza in questo caso andrà più che bene, avendo l’accortezza di non
posizionarla troppo vicino all’opera, in modo da avere il più possibile una
situazione di luce diffusa ed evitare il riscaldamento.
Osservando il grafico risulta evidente la differenza tra lo
spettro di emissione che caratterizza la luce solare e quello di una normale
lampadina ad incandescenza: la luce naturale ha intensità di emissione ben
distribuite nell’intero intervallo del visibile, mentre la luce della lampadina
è decisamente “sbilanciata” verso le alte lunghezze d’onda (e quindi i colori
giallo/arancio/rosso). Le lampade a luce naturale emettono solo nel visibile,
mentre vengono "tagliate" sia le componenti UV (dannose a livello
fotochimico) che quelle infrarosse (dannose per effetto del calore). Se ne
deduce che un’ottima lampada da ritocco sarà assolutamente inutile nel caso ci
si voglia addentrare nella diagnosi per mezzo di tecniche come la riflettografia
IR. Lo spettro di emissione del filamento di tungsteno, invece, ha una
fortissima componente di infrarosso, che non può essere visto dai nostri occhi,
ma che si percepisce facilmente a livello termico (i raggi infrarossi
“scaldano”) e può essere usata in riflettografia. Naturalmente, la sorgente di
luce ottimale è puramente infrarossa ed una soluzione economica è data dalle
lampadine IR con attacco E27 a 250 W che possono essere montante sulle comune
lampade in sostituzione delle lampadine ad incandescenza.
Una semplice sorgente di infrarossi però non è
sufficiente: è necessario che la radiazione che viene riflessa dalla superficie
dell’opera dopo aver interagito con gli strati pittorici sia adeguatamente
“filtrata” e rilevata dalla videocamera, compito rispettivamente delle lenti e
dei rivelatori. Il segreto per una buona indagine nel campo dell’ infrarosso
vicino è quindi un mix ottimale di sorgenti di luce, filtri e rivelatori, combinati in modo tale da enfatizzare
l’intensità e l’efficienza di rilevamento di quelle lunghezze d’onda
(700-1100nm) che riescono a “ficcanasare” sotto gli strati più superficiali di
un’opera pittorica e a mettere a
nudo disegni preparatori,
ritocchi, pentimenti: ciò che insomma non appare…alla luce del sole.
La "lettura" di quello che viene registrato e appare
sullo schermo non sempre è di facile interpretazione. Innanzitutto, non sempre
il disegno preparatorio è presente e, anche ammesso che l'artista se ne sia
avvalso, diventa visibile se questo è stato tracciato con carboncini, grafite o
simili. Il nero, infatti, assorbe le radiazioni del vicino IR mentre altri
materiali, come l'ematite che dona la tonalità rossa alla sanguigna, riflettono
le radiazioni e sono quindi "invisibili" all'occhio della telecamera
IR.
Proprio questo assorbimento selettivo delle radiazioni incidenti
da parte dei diversi materiali ha permesso lo sviluppo delle tecniche
spettroscopiche, come la spettrofotometria IR. Anche con un semplice
riflettografo IR è possibile ottenere qualche indizio sui materiali presenti: possiamo
dire che i pigmenti a base organica e a base di piombo sono in genere
trasparenti all’IR, mentre pigmenti a base di rame o ferrocianuri (come il blu
di prussia) sono mediamente o fortemente opachi e non permettono la rilevazione
di ciò che sta sotto.
Ultima, ma non meno importante, la scelta dell'attrezzatura. La
riflettografia IR risale agli anni ’30 e nasce come fotografia IR, ma già negli
anni ’60 si ha una grande svolta dovuta all’utilizzo di telecamere a tubo Vidicon. Attualmente si
utilizzano le videocamere a CCD (Charged
Couple Device) che permettono un più alto rapporto segnale/rumore, una risposta
più rapida, minori distorsioni geometriche e maggiore stabilità ad alte
intensità luminose in ingresso rispetto ai tubi Vidicon. Per “pulire” il
segnale rilevato dai CCD si applica un filtro con banda passante 720-1100nm,
che permette di eliminare le lunghezze d’onda del visibile, che creano disturbo
all’immagine IR: in questo modo è possibile avere immagini nitide e ben
contrastate, eliminando l’effetto “scattering” provocato dalla riflessione di
lunghezze d’onda al di sotto dei 700 nm (ricordiamo che la capacità di
penetrazione è direttamente proporzionale alla lunghezza d'onda).
Il
costo di una attrezzatura per la riflettografia IR può essere anche molto alto,
a seconda delle caratteristiche tecniche, come precisione e risoluzione delle
immagini. Una soluzione a costo relativamente contenuto, è l'impianto portatile
MIR
10 proposto da CTS che, accoppiato con altre
tecniche semplici ed economiche di cui parleremo in futuri articoli, permette
al restauratore di avere un quadro completo dell'opera che si intende investigare.
BIBLIOGRAFIA E FONTI
- Walmsley,
Elizabeth, Fletcher, Colin, Delaney, John, Evaluation of system
performance of near-infrared imaging devices. Studies in Conservation,
Volume 37, pp 120-131, 1992
- Palazzi Sergio, Colorimetria, la scienza del colore nell’arte
e nella tecnica, Firenze, Nardini, 2000