Il cemento è qualcosa che viene visto
con fastidio nel mondo del restauro, e non a torto.
E’ innanzitutto eccessivamente
resistente, e in caso di movimenti (della struttura, per dilatazione/contrazione
termica,….), tende a spaccare la pietra o gli intonaci circostanti.
Inoltre contiene del sale (solfato di
calcio, ossia gesso), che migra nel materiale adiacente innescando un ulteriore
degrado; infatti, la porosità del cemento è inferiore a quella degli intonaci
e, spesso, anche di quella della pietra. Quindi i Sali tendono ad accumularsi
all’esterno della malta cementizia; tipica è l’efflorescenza bianca sulle
cortine murarie adiacente alle fughe. Se i problemi inerenti l’uso del cemento
sono stati compresi, e oggi in linea di massima si utilizzano malte idrauliche
desalinizzate (Lafarge o, per le iniezioni, quelle della linea PLM), non
possiamo dimenticare il sempre più frequente intervento su opere costituite
da cemento, ovvero sulla cosiddetta “pietra artificiale”.
Nata nella seconda metà dell’Ottocento,
in parallelo allo sviluppo dell’industria del cemento, per imitare la pietra, era
costituita da un impasto a base di cemento, sabbia e graniglia di pietra,
miscelato con acqua.
Abili artigiani
ottenevano, attraverso l’uso di pigmenti in polvere o di inerti del giusto
colore, malte cromaticamente identiche al materiale lapideo da imitare, e ancor
oggi non facili da riconoscere.
L’uso della pietra artificiale si
diffuse rapidamente, perché consentiva di ottenere con costi nettamente
inferiori, elementi decorativi e sculture con un’ottima imitazione delle pietre
naturali. Un ottimo testo che descrive questa tecnica [1] è disponibile nel
nostro catalogo.
Il cemento,
infatti, offriva indubbi vantaggi rispetto alle malte di calce aerea, che
indurivano in maniera disuniforme dall’esterno verso l’interno ed in tempi
piuttosto lunghi; il cemento dava invece origine a malte che indurivano in
maniera omogenea in tutto il loro spessore, rendendo molto solido e resistente
il manufatto. Il punto critico risiedeva nella durabilità di questo materiale,
che non può essere certo paragonata a quella di una pietra naturale. Infatti, a
distanza di un secolo molte di queste opere presentano un degrado tale da
richiedere un intervento di restauro, e qui arriviamo al punto: qual è il
miglior consolidante per il cemento?
Data la bassa porosità della malta
cementizia i classici consolidanti polimerici rischiano di non avere una
penetrazione soddisfacente, anzi, di intrappolare i sali ancora presenti sotto
ad una pellicola impermeabile, con effetti a breve termine ancora peggiori.
Sappiamo che il silicato d’etile è stato utilizzato, con risultati anche buoni,
ma è necessaria una maggiore comprensione del fenomeno.
Ci può aiutare in questo uno studio
della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna, partito con la
caratterizzazione dei materiali (silicato d’etile Estel 1000, calce, e miscele
dei due prodotti, stagionati a diverse RH%, dopo 2 mesi e dopo un anno dalla loro
preparazione),
seguita dalla valutazione
degli effetti sul cemento.
Obiettivo della
ricerca era capire se con l’applicazione dei prodotti si forma la cosiddetta
fase C-S-H (Calcium-Silicate-Hydrate), ossia il materiale che costituisce la
“colla” del cemento.
In una prima
parte dello studio [2], sono stati caratterizzati i materiali tramite analisi
XRF, FTIR e TGA, arrivando alla conclusione che il silicato d’etile sembra avere un effetto pozzolanico, con formazione
della fase C-S-H, e quindi può rimpiazzare la “colla” perduta nei processi di
degrado del cemento.
Nella
seconda parte dello studio [3], che ha visto i ricercatori italiani affiancati
da studiosi svizzeri, il silicato d’etile è stato applicato su due tipologie di
malta cementizia, con identico inerte e normale cemento portland, ma con
differente quantità di acqua, descritti nella tabella sottostante.
0,45_35%
0,65_35%
Rapporto acqua/cemento (w/c) 0,45
0,65
Contenuto di cemento (Kg/m2) 330
275
Contenuto d’aria (vol %) 2,0
2,5
Resistenza a compressione dopo 28 gg (MPa) 52,5
31,0
I provini di
cemento, una volta stagionati, sono stati trattati con Estel 1000: quello più
debole e poroso (0,65) ha assorbito maggiori quantità di silicato di etile.
Sono stati
rilevati vari parametri, di cui riportiamo per semplicità solo i due che ci
sembrano più rilevanti.
Si ha una riduzione della profondità di
carbonatazione, che è uno degli indici del degrado di un cemento, come
evidenziato nella tabella sottostante. Naturalmente il cemento più poroso (0,65),
subisce comunque una carbonatazione, nonostante il trattamento.
Tipo di cemento ------>
0,45_35%
0,65_35%
non trattato Trattato con Estel 1000 non trattato
Trattato con Estel 1000
Profondità di 3,0 0,0 9,1 3,5
carbonatazione (mm) Si ha una riduzione della penetrazione dei cloruri.
Dalla tabella riassuntiva si osserva come si ha una effettiva, fortissima
riduzione della profondità di penetrazione dei cloruri nel cemento trattato con
Estel 1000.
Tipo di cemento ------>
0,45_35%
0,65_35%
Profondità di non trattato Trattato con Estel 1000 non trattato Trattato con Estel 1000
penetrazione (mm)
Media 11.6 0.25 41.2
0.75
Massima 15.0 1.0 47.5
1.5
Conclusioni
L’applicazione di Estel 1000 dà luogo a
silice, che si lega al calcio presente dando la fase SCH. La reazione avviene
in prevalenza nei pori più fini, lasciado aperta la permeabilità al vapor
d’acqua, e riducendo sensibilmente fattori di degrado quali la profondità di
carbonatazione e di penetrazione dei cloruri. Tutti i risultati indicano
l’azione positiva del silicato d’etile Estel 1000 su malte cementizie.
Bibliografia
1. Cavallini M., Cimenti C.; “Marmi e pietre
artificiali – Manuale per la realizzazione e il restauro delle decorazioni
plastico-architettoniche di esterni e interni”, Alinea (2000).
2.
Sandolini F.,
Franzoni E., Pigino B.; “Ethyl Silicate
for Surface Treatment of Concrete. Part I: Pozzolanic Effect of Ethyl
Silicate” Cement & Concrete Composites, DOI:
10.1016/j.cemconcomp.2011.12.003
3. Pigino B., Leemann A., Franzoni E.,
Lura P.; “Ethyl silicate for surface
treatment of concrete. Part II: characteristics and performance”. Cement
& Concrete Composites, 2011. -